Ho aggiornato il contenuto della pagina il 17 Novembre 2021

Ho visto in anteprima E’ stata la mano di Dio, il film di Paolo Sorrentino e, ancora travolta da due ore sublimi in cui si ride e si piange, scrivo in ordine sparso perché non vedo l’ora di poterlo rivedere.

È un film su Napoli. Napoli è protagonista indiscussa. Dalla prima sequenza che corre sul golfo e si spalanca sulla città vista dal mare alla Piazza del Plebiscito con le auto e l’immenso parcheggio di una volta. Poi le grotte di Marechiaro, la Galleria Umberto I, il porto, i vicoli. Ci sono i miti della città: il Vesuvio, la cartolina, il calcio e Diego Armando Maradona (ma non è un film su Maradona), i riti familiari grotteschi e terribilmente veri, i contrabbandieri che solcano il golfo, il monaciello e il rapporto con il sacro, i sentimenti e l’umanità tutta napoletana. Ha ragione Paolo quando dice che <solo qui, a Napoli, il film viene compreso in tutte le sue sfumature>. E se qualcuno scriverà che è una Napoli fatta di soliti cliché, non è così. C’è il Sorrentino onirico e visionario in ogni scena e una superba fotografia.

È un film sui sentimenti. Tanti. Tumultuosi. C’è il dolore innanzitutto. Ci sono la paura, la solitudine, lo smarrimento, il lutto, l’abbandono, il tradimento, la scoperta, il coraggio, l’amore (dolcissimo il richiamo tra il duo Servillo-Saponangelo, marito e moglie, padre e madre di Fabietto), l’amicizia, l’alienazione e la pazzia che è diversità, ricchezza, e capacità di ascolto. E c’è la fede nel futuro e in una felicità che prima o poi arriva.

È un film di dettagli per questo non basta vederlo solo una volta. Sono dettagli che forse solo la generazione dei cinquantenni di oggi riescono a cogliere. Sorrentino ci riporta ai nostri anni Ottanta e gli occhi di Fabietto, il protagonista, diventano i nostri. Il walkman eternamente addosso, il film in video cassetta “C’era una volta in America”, la Tv senza telecomando, il telefono di bachelite nel corridoio di casa, la camicia Rodrigo, la latta dell’Olio cuore in cucina, la zuppa di latte, i capelli cotonati delle mamme, i giri in vespa senza il casco.

È un film di parole e dialoghi che lasciano il segno. Che suonano come monito, che arrivano come provocazione, esplodono esilaranti in una battuta, pesano come macigni e aprono porte. Coraggio è la prima. Più volte ripetuta, “ci vuole coraggio”. Perseveranza, come ingrediente fondamentale per farcela nella vita. L’importanza di essere liberi. La “realtà scadente” e come fuggirla. Il diventare grandi. E la necessità di futuro o meglio di felicità. E l’avvertimento di non DI-SU-NIR-SI. Paolo è un artista di grande scrittura e ricordo ancora quando in una estate di molti anni fa a Stromboli mi consigliò di leggere Foster Wallace.

<È un film che era nella mia mente da molti anni e che ho trovato il coraggio di fare perché per ragioni insondabili era arrivato il momento giusto. Avevo compiuti 50 anni, un bel traguardo ed avevo grande voglia di tornare a fare un film a Napoli>, così Paolo ha spiegato le ragioni del film che racconta la sua vita, il suo dolore – <condividerlo e parlarne ad ogni presentazione, quasi fino alla noia, aiuta a superarlo> – e la sua adolescenza nella Napoli degli anni Ottanta.

È stata la mano di Dio arriva in 250 sale cinematografiche il 24 novembre, a casa arriverà il 15 dicembre con Netflix.