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Stromboli, 30 agosto 2012: la mia prima ascesa al cratere di Stromboli.

(Ripropongo qui questo racconto scritto di getto e pubblicato su Facebook al rientro dall’escursione)

Scarponcini, zaino in spalla, torcia e casco. Dentro la zaino: 2 litri di acqua, panino, 2 banane, 1 tavoletta di cioccolata, felpa e giacca e vento, 2 magliette di ricambio. Partiamo alle 17.30, la nostra guida si chiama Carmelo e ci informa subito che percorreremo il “vecchio sentiero”, quello che parte da Piscità e costeggia la sciara. È più lungo di 1 ora, più irto verso la cima, ma – ci rassicura – molto più bello e panoramico. Siamo in 18, con me c’è Piera, mia figlia di 9 anni e mezzo. L’ansia di non farcela si mescola con l’emozione, con la consapevolezza di stare per fare qualcosa di unico.

Ale 17.44 imbocchiamo il sentiero di Punta Labronzo. Procediamo verso ovest con il sole negli occhi. Una luce calda e morbida come un abbraccio. Il sentiero si inoltra nel folto della vegetazione: cespugli di ginestra ormai sfioriti, alberi di fico, cascate di capperi, canne e rovi di more. Il vulcano nero che vedi dal mare ha un manto verde che non t’aspetti. Saliamo, mia figlia mi precede con una forza nelle gambe da animale selvatico. Il silenzio è totale. Rumore dei passi e del mio respiro. Carmelo tiene il passo. E che passo! Il cuore mi balza in gola. Il sole inizia a calare, è passata 1 ora e siamo a quota 250. E’ vero questo sentiero è uno spettacolo della natura: da una parte il tramonto sul mare, dall’altra la bocca del vulcano. Ecco il primo sputo di fuoco. Un boato cupo ci fa sobbalzare e ci dà il benvenuto. È la bocca di nord est, la più spettacolare. Per tutta la salita ci regalerà esplosioni da film. A quota 250, ci cambiamo le magliette zuppe di sudore. Sosta tecnica di 5 minuti per bere. Si prosegue e inizia per me il tratto più faticoso. Passi piccoli e respiro lento. Se la fatica mi arretra, l’ostinazione di salire e la sfida mi sostengono.

Intanto il vulcano tuona.

Passa un’altra ora, siamo a quota 400 mt. Abbiamo il mare alle spalle, la sciara del fuoco alla ns destra. Una vertigine di bellezza. All’improvviso il vulcano ci regala un’esplosione meravigliosa ma io ho la macchina fotografica nello zaino. Cinque minuti di sosta e poi su verso i 500mt: entriamo nella zona consentita solo se accompagnati da guide. Davanti a noi c’è una parete verticale: ci aiutiamo con le mani come enormi ragni. È il tratto più bello. Le mani nude in questa roccia color ruggine. Il sole sta per tuffarsi in mare. Ci fermiamo per assistere all’attimo. Secondo cambio di maglietta. Non credevo si potesse sudare tanto. Sta calando il buio e dobbiamo guadagnare i 750 mt con le ultimi luci della sera. Camminiamo in fila indiana costeggiando la grande sciara del fuoco. Meglio non fermarsi a guardare cosa c’è sotto i ns piedi.

Il vulcano ci fa sobbalzare, è come se ci incitasse alla salita. Qualcosa di grandioso e terribile al tempo stesso.

Gli occhi di Piera sono smarriti e sbalorditi di tale spettacolo. È inquietante. Arriviamo al primo punto di osservazione alle 20.30 dopo 3 ore di cammino. È buio. Poco prima abbiamo indossato i caschi di sicurezza. Ci fermiamo, ci cambiamo la terza maglietta e mettiamo le felpe. Ci sediamo sui sassi quasi sull’orlo del cratere. Mangiamo i panini e la cioccolata. Siamo in linea d’aria a 200 mt dalle esplosioni. È bellissimo. Mi dico e dico a mia figlia che ne è valsa la pena. La bocca di nord est esplode per ben due volte mentre noi siamo qui: fontane di fuoco alte anche 100 metri, forse di più, e poi lapilli giù che rotolano nella sciara. Dopo quasi 1 ora di sosta, ripartiamo verso il Pizzo, il punto più alto (900mt) per ammirare dall’alto le tre bocche del cratere: oltre a quella di nord est, c’è la bocca di Ginostra, con un diametro di circa 40 mt, che fa belle esplosioni e poi c’è la bocca centrale sempre attiva con gas e una specie di fiamma costante rossa.

È una notte magica, c’è la luna piena e si vedono netti i contorni del vulcano, i crinali, le rocce. Sono ormai le 22 circa, dobbiamo scendere a valle. Torce in pugno partiamo. La discesa è lungo il versante di Sud est, la luna ci illumina. Io spengo la torcia e mi godo questo paesaggio lunare. Scendiamo nel “Sabbione”, le gambe affondano come neve fresca, la sabbia ci entra dappertutto. Carmelo ci ha dato le mascherine. Piera corre come un daino e grida per il divertimento. Scendiamo in fila indiana lungo il crinale fino ad un fitto canneto. Polvere ovunque. Siamo quasi arrivati, la discesa è durata poco più di 1 ora. I piedi fanno male. Il cuore è felice. Arriviamo in piazza alle 11.30, ci leviamo gli scarponcini e i calzini e iniziamo a camminare scalzi sul sagrato della chiesa di San Vincenzo, la stessa chiesa dove sei ore prima Piera ed io siamo entrate per una preghiera prima di affrontare l’impresa. Le gambe mi tremano per la stanchezza. Ringrazio il cielo per una simile esperienza.

Ps

Sono tornata in cima al cratere nuovamente nel 2013, guidata dal veterano delle guide, Zazà, e ancora nel 2017. Sempre e solo con Magmatrek