Ho aggiornato il contenuto della pagina il 1 Dicembre 2020

Sono passati cinque giorni e Diego Armando Maradona non è risorto. Qualcuno ci aveva messo il pensiero. Sacrilego e ingenuo. Ma il miracolo c’è. Ed è per strada, ovunque, nei tanti simulacri nati spontaneamente in questi giorni. Dallo Stadio San Paolo ai Quartieri Spagnoli, dalla Sanità a Posillipo.

Quanto è grande il cuore dei napoletani. E che cos’è la devozione di un popolo.

Maradona come San Gennaro.

A cinque giorni dalla morte del Pibe de Oro, lo Stadio San Paolo continua ad essere meta di pellegrinaggio. Ai cancelli della Curva B c’è un tappeto immenso di immagini e fiori, una galleria variopinta di ricordi, magliette, dediche, disegni di bambini, palloni, pupazzi, bandiere, fotografie, sciarpe e lumini, lettere d’amore e preghiere. C’è persino una pizza con il volto del calciatore.

Un sacrario. Laico e popolare.

<Grazie Diego> è il mantra ricorrente. Il popolo sa essere riconoscente e grato.

Su un cartone si legge: <Sei stato il sole nelle giornate piovose ed il vento in quelle afose. Non ti dimenticherò mai. Ciao Diego>.

Non basta un giorno per leggere tutto. E tanti scritti e disegni sono andati anche perduti per la pioggia battente del fine settimana. Ci sarà un museo, dicono, allo Stadio San Paolo che diventerà lo Stadio Diego Armando Maradona.

Su una maglietta un tal Moreno ha lasciato il suo scritto: <Il mio eroe, il mio idolo, il mio capitano, il mio condottiero, il mio sogno da bambino. Eternamente con me. Arrivederci mio re>.

Sono cimeli d’amore.

La commozione è tanta. Impossibile non farsi prendere dall’emozione. E non si tratta di essere tifosi o meno. Lo spettacolo è struggente. Una celebrazione epica. Esagerata come la sua vita.

Maradona ha unito generazioni di persone. Ispirazione, idolo, emblema di riscatto e rivincita. La rockstar del calcio, il Re plebeo.

Ai piedi della Curva B vedo arrivare devoti e curiosi. Ci sono gli anziani, i più giovani, la cosiddetta generazione Maradona, quella che scese in strada a far festa per il primo indimenticabile scudetto. Ci sono i bambini, i giovanissimi tifosi cresciuti con i racconti sulla “mano de dios”.

Una varia umanità, unita da un sentimento comune.

La nostalgia si tocca. Non è fanatismo. È devozione, semplice, popolare, accorata.

Ed è, per noi cinquantenni di oggi, la nostalgia per il tempo passato, per la nostra giovinezza, per quei favolosi anni Ottanta in cui eravamo ragazzi. Sono i ricordi che tornano a galla e quando il passato ritorna porta sempre con sé un po’ di dolce e un po’ di amaro.

Dall’altra parte della città, conficcato tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, ecco un altro sacrario.

In via Emanuele de Deo, ai piedi del grande murales di Maradona dipinto nel 1990 dallo street artist Mario Filardi, la gente del posto ha steso un tappeto rosso, allestito un altare con due vecchi tavoli di legno e portato corone di fiori e lumini. Alle finestre, sui fili del bucato, hanno appeso le magliette col numero 10. Ed ancora gigantografie del campione ed edicole votive. Anche qui è un andirivieni continuo di gente. Di foto e selfie ricordo.

 

È un concentrato di creatività questo angolo dei Quartieri Spagnoli, lo chiamano lo Slargo degli artisti. Ma qualcuno ha già affisso la targa “Largo Diego Armando Maradona”. Su tutto domina l’enorme raffigurazione della Pudicizia dell’argentino Francisco Bosoletti, straordinario murales. E ci sono altre icone di Napoli sui muri dei palazzi: un magnifico volto di Sofia Loren da una parte; Troisi, Totò e Pino Daniele dall’altra.

Ma oggi, occhi e cuore sono tutti per Diego Armando Maradona.